IL PERCORSO
Sui soleggiati declivi collinari delle Prealpi vicentine, non molto lontano dalla vecchia strada Gasparona, si adagia il Percorso Colceresa. Nel saliscendi di viottoli e mulattiere, lo sguardo rimane colpito dall'incanto di scorci paesaggistici che si trasformano in ogni stagione. In primavera la natura si veste a festa: tra il cielo terso e il verde cangiante dei prati, costellati di una miriade di fiori, spicca il bianco immacolato dei ciliegi e il rosa dei peschi e dei mandorli. Pianezze, Molvena e Mason diventano come un giardino fiorito. Camminando fra le innumerevoli erbe spontanee dei prati ricoperti del giallo dei tarassachi, dell'azzurro delle pervinche, delle viole e dei nontiscordardimé, del bianco degli anemoni, ci si anima al volo di una farfalla, si sorride al cinguettìo degli uccelli e al gorgoglìo dell'acqua dei ruscelli. In estate i colli brillano di luce e i verdi dei boschi e dei prati si fanno più intensi e vitali: tutto è energia. L'autunno porta con sé un nuovo tripudio di colori dai toni caldi e aranciati. Camminando lungo i sentieri, tra lo scricchiolare delle foglie, dei ricci e delle ghiande che coprono morbidamente gli antichi selciati, si avverte un sapore familiare che rincuora e sa di tradizione. Quando viene l'inverno e tutto riposa, la natura stupisce con le forme salde e possenti delle radici di forzuti spaccasassi e centenarie soche de maronari, con la forza di ancestrali rocce plasmate dal tempo e l'incalzante energia di edere, muschi e licheni che fuoriescono dalle masiére. È tempo di quiete e anche il grigioverde argentato delle generose e copiose fronde dell'ulivo, dalle nodose e contorte radici, invita al riposo e al silenzio. Il Percorso Colceresa nasce dall'intento di valorizzare un'area di straordinario interesse ambientale, storico e artistico. Si sviluppa in una dorsale collinare medio-alta riscoprendo antichi sentieri che solcano in tante direzioni prati, boschi e vecchie contrade, consentendo al visitatore di vivere una relazione intima e coinvolgente con la natura. L’itinerario, percorribile da qualsiasi escursionista in circa cinque ore, è particolarmente indicato per gruppi di amici e di famiglie che amano trascorrere una giornata all'aperto in gioiosa compagnia e offre anche la possibilità di organizzare un'allegra merenda in uno dei punti attrezzati. Per gli sportivi e i podisti, che sono invece alla ricerca di percorsi alternativi dove potersi allenare nella quiete della natura, indichiamo un tempo massimo di percorrenza di tre ore. L'itinerario, di 12 km circa, parte dal centro di Pianezze e, accostandosi alla dorsale più alta verso Roveredo, attraversa Molvena per scendere al centro di Mason. La partenza da Pianezze rappresenta un omaggio alla ciliegia, dolce primizia gradevole al gusto, buona nei dolci e nelle conserve, preludio alla bella stagione, ricchezza di un territorio che rinverdisce anzitempo. Qui la ciliegia matura prima e trova notorietà nella varietà Sandra e nelle altre varietà della Ciliegia di Marostica IGP per confluire poi nel Mercato cerasicolo di Mason Vicentino e in altri importanti mercati locali. La direzione del sentiero è comunque indicativa e si può operare una selezione del percorso. I punti più significativi sono corredati da totem illustrativi che permettono al visitatore di approfondire la conoscenza di fiori, erbe e piante, di interessanti formazioni rocciose, di rogge e torrenti, di magli e mulini e di apprendere la storia di mulattiere, di antiche contrade, di chiese e oratori, di ville e palazzi. Si consiglia di partire dal piazzale del centro di Pianezze, dove il visitatore può lasciare l'auto nel comodo parcheggio. Un totem illustra l'origine e la storia del paese. Nominata per la prima volta nell'archivio della chiesa di San Felice e Fortunato di Vicenza, Pianezze deve il suo nome al latino Planitia, ossia superficie piana. Situato parte in monte e parte in piano, il paese confina con Marostica, San Luca, Molvena, Villa e Roveredo Basso. Le colline sono formate da tufo di origine vulcanica che rende fertile il terreno e favorisce la coltivazione di vigneti e frutti di ogni genere. Qui si può ammirare la scenografica gradinata, con gli alti cipressi, che conduce alla bella Parrocchiale dedicata a San Lorenzo, martire sulla graticola il 10 agosto 258 d.C. al tempo di Sisto II. Di origine medioevale, l'edificio presenta forme neoclassiche e un caratteristico campanile con una guglia dai caratteri nordici che lo distingue dagli altri della zona. In un lato della piazza, davanti al Municipio, sorge il monumento che ricorda i tragici eventi e i Caduti delle due guerre mondiali. Si scende lungo via Roma fino alla piazza degli Alpini, ammirando gli artistici mosaici che decorano i muri laterali di contenimento. Qui lo sguardo volge verso il piccolo tempietto dedicato alla Madonna della Salute. È un capitello del 1976 che sostituisce una costruzione più antica che sporgeva sul ciglio stradale. La struttura ospita una statua in gesso della Vergine. Nell'incrocio il percorso devia a destra e scende piacevolmente lungo via 25 aprile fino all'incrocio con la strada vicinale dei Munari che conduce a contrà Oldelle. Non può mancare una sosta per una visita all'oratorio dei Santi Filippo e Giacomo. Qui, secondo antiche memorie, c'era un castello di cui, secondo G. Spagnolo, restavano i ruderi agli inizi del 1900. Resti ancora più remoti indicano che l'area era occupata fin dall'età protostorica, probabilmente dagli Euganei, un popolo indoeuropeo che stazionava a ridosso delle pareti rocciose e che viveva in grotte, in parte ancora affioranti ai piedi del colle. L'oratorio, fondato dai nobili Cumani del Castelletto, è oggi il risultato di una prima fase di costruzione franco-longobarda, di un rinnovo del 1500 e di un riadattamento del sec. XVIII. L'interno è visitabile. Un totem illustra in modo più approfondito la curiosa storia di questo edificio. Dal colle si gode uno stupendo panorama che spazia a nord verso Monte d'Agù, a est verso i colli asolani e il Montello e gira a sud fino agli Euganei e ai Berici. Proseguendo lungo il viottolo nella strada dei Munari che si inoltra tra i prati si scorge a destra casa Rigo, una costruzione signorile assai interessante nella sua insolita struttura, probabile torre di avvistamento medioevale, che fu dei nobili De Rossi e dei conti Grimani. Si raggiunge via Oldelle. È un'antica contrada di Pianezze di cui si trova traccia già in età ezzeliniana con la presenza di fondi rurali forniti di abitazioni e vigneti. Era abitata già dal XV secolo e nel 1600-1700 si chiamava anche Noldelle o Nondelle. Conserva ancora alcune strutture rurali antiche assai interessanti, datate 1767, come si può vedere sulla facciata di una di esse. Qui le colline di tufo di origine vulcanica sono fertili. La zona collinare circostante, protetta dal vento e ben assolata, presenta un clima mite anche in inverno che, unito alla fertilità del suolo, favorisce la coltivazione di viti, olivi, ciliegi, peschi e molti altri alberi da frutto e permette di ammirare giardini e balconi fioriti in ogni stagione. Salendo la laterale a sinistra di via Oldelle, verso Contrada Salbeghi e Volpato, si raggiunge un punto panoramico che abbraccia le vie di Pianezze prima della sconfinata pianura dove si profilano i colli di Montecchio Precalcino e, più a sud, dei Berici e degli Euganei. Il paesaggio antropizzato ben si inserisce nelle linee morbide delle colline definite dalle geometrie dei campi e dall'andamento serpeggiante delle strade e dei viottoli. Vigneti, ciliegi e oliveti dominano nelle alture; poi, tra fiori di mille colori, il Percorso Colceresa si inoltra in boschi di carpini bianchi, robinie, castagni, querce e vallette di notevole interesse naturalistico. Il sentiero in alcuni punti è tortuoso, ma decisamente affascinante e suggestivo. Poco più avanti si incontra la Val Grande, con il sentiero delimitato da masiére e rocce di arenaria grigia affioranti dal terreno, ricoperte di edera, rovi, pungitopo e felci, che creano, anche d'inverno, delle belle macchie di colore verde. Da qui una volta partiva un sentiero, ora ricoperto di rovi, che portava a Pianezze. Proseguendo ancora un po' si arriva alla Val del Costo, che merita una piccola sosta per osservare i terrazzamenti ottenuti con piccole masiére, frutto del lavoro incessante dei contadini che coltivavano prodotti agricoli e dell'orto. Il paesaggio invita a fare una riflessione su quanto doveva essere bello il territorio con le pendici ricoperte dalla fitta boscaglia verdeggiante, con i frequenti valloncelli, gli avvallamenti, i rivi e la ricca selvaggina. Qui la natura ha ancora un che di primitivo e di selvaggio perché anche l'intervento dell'uomo nelle masiére è stato mascherato dall'incalzante crescita delle piante. Usciti dal bosco, il tragitto svolta bruscamente a destra costeggiando una recinzione metallica nel punto in cui lo sguardo si apre nell'ampia sequela di colli ameni dei paesi vicini, dove crescono, disseminati nel verde dei prati, molti ciliegi. Lungo il sentiero ci sono anche diversi calcari fossiliferi e delle rocce curiose di arenaria e calcare erose dalla forza dell'acqua. Tra giovani olmi, aceri, ornielli, cespugli di sambuco, oltre a castagni e noccioli, il sentiero torna a scendere verso il paese. Si ammira, verso la vallata a sud, contrà dei Sandri, soprannome con cui è conosciuta la famiglia Bertollo che qui abita. Questo è il luogo “storico” dove hanno avuto origine le prime ciliegie sandre nel lontano 1931. La ciliegia sandra è rinomata per il frutto grosso, polposo, croccante e saporito. A sinistra, nel mezzo di una fitta vegetazione, appare il casìn, una costruzione isolata, disabitata e in stato di abbandono. Poi, lasciando a destra antichi terrazzamenti assolati e le vasche dell'acquedotto di Pianezze, il sentiero si snoda tra le antiche e caratteristiche contrade di Malossi e di Creazzo. Il nome Malossi probabilmente deriva da un certo Terzo Molosso citato nel 1287 nel Regestum Possessionum. Conserva strutture di case coloniche molto semplici e modeste, ma comunque affascinanti, assieme ad altre più recenti e moderne. Una targa con la scritta Assicurazione “il Mondo”, risalente probabilmente a prima della Prima Guerra Mondiale, inserita nella facciata di un'altra casa, ricorda la diffusa paura degli incendi che potevano distruggere in poco tempo le case della contrada. Sempre in questa zona c'è la cava chiamata Valle Miniera, la soldamara da cui una volta si estraeva il soldame. Il tratto di strada che porta al gruppo di case dell'antica Contrà Creazzo offre, sulla destra, uno splendido panorama sulla Val Minera e i colli molvenesi sui quali domina l'altura del Castellare dei nobili Peòla con la bella parrocchiale. Giunti in prossimità di Pianezze percorrendo via Sandri, di fronte al campo sportivo si svolta a destra e, attraversando via Libertà, si imbocca, in direzione di Molvena, il sentiero delle Strambane, in località Spironche. Si consiglia una sosta per assaporare la bellezza di questa dolina che si inoltra nel dolce declivio dei colli. Vi domina la quiete. Il paesaggio merita una visita in primavera quando è possibile ammirare il verde tenero dei prati collinari punteggiati del giallo dei tarassachi, del bianco festoso e prorompente dei ciliegi in fiore e odorare anche l'intenso profumo dei fiori delle numerose robinie presenti nei boschetti. D'inverno una leggera foschia avvolge ogni cosa e s'addensa sui prati, sì che ogni cosa sembra sospesa nel vuoto. In autunno il viottolo è una profusione di colori aranciati e ramati. Il tragitto si snoda tra le acque di un ruscello e un argine coperto da carpini bianchi, alternati ad esemplari di castagni, ornielli, spaccasassi e robinie. Molto ricca è la flora del sottobosco con rovi, pungitopo, edera, felci, funghi, phytolacca, luppolo e una vasta varietà di fiori primaverili amanti delle zone umide come le viole, le primule, l'anemone, l'elleboro, i nontiscordardimé, i ranuncoli, ecc. Prima di deviare a destra si trova il sito delle Spironche, ovvero le grotte naturali situate nel vallone di fronte al colle della Peòla, che una leggenda popolare vuole fossero opera del diavolo e il segno dello sprofondamento di un'antica cappella, forse quanto restava della chiesa di San Fortunato, profanata dai nobili Pedàola i quali vi andavano a ballare nudi. Dal punto di vista geologico sono delle formazioni carsiche originatesi in seguito all'erosione dell'acqua. Molto suggestivo e selvaggio è il canalone dove prende vita una ricca vegetazione arborea e un sottobosco interrotto da formazioni rocciose particolarmente interessanti. Negli anfratti delle rocce sono visibili tracce delle tane di volpi e di tassi e, nel silenzio del bosco, si ode il cinguettìo dei numerosi uccelli; non è raro incontrare qualche fagiano o vedere qualche scoiattolo saltare tra i rami. Il sentiero delle Strambane era un'antica mulattiera che univa Pianezze e Molvena attraverso la stretta valletta Cavicchia. Si percorre in discesa un tratto di sassi basaltici tra prati fioriti, masiére e affioramenti di rocce calcaree. Il sito è certamente quello storicamente più significativo per l'origine e la storia di Pianezze e di Villa. A sinistra si innalza il famoso colle Peòla, che prende il nome dall'omonima sorgente che sgorga ai suoi piedi, le cui acque confluiscono nel vecchio pozzo che serve ora per gli usi agricoli. Qui bisogna immaginare le vestigia di un antico passato dominato dalla nobile famiglia feudale dei Pedàola, che riscosse gli affitti per Ezzelino Da Romano e poi per il Comune di Vicenza e che possedeva molti beni immobili nella zona. Vi sorse, verso il Mille, un semplice e rudimentale castello, difeso da mura grossolane e fitte palizzate in legno per fronteggiare i costanti pericoli che, a partire dall'invasione degli Ungari dell'899, incombevano sulle popolazioni rurali. Il Regestum Possessionum del 1262 definisce con il termine Planicia, ossia Pianezza, la piana che accolse il villaggio nato intorno al castello, che viene anche nominato Doglione delle Signore, proprietà di “signore” eredi della famiglia Pedàola. Castello e villaggio sparirono con il trasferimento della popolazione nelle colline vicine di Pianezze e di Villa, i cui abitanti portarono con sé l'antico nome della piana su cui sorgeva il villaggio, Planicia, e il nome del villaggio stesso, Villa. Il castello venne presumibilmente distrutto tra il 1311 e il 1314 per azioni di guerra o per le decisioni del Comune di Vicenza. Un totem illustrativo permette di approfondire la storia di questo sito che pochi conoscono ed è tra i più interessanti. La mulattiera scende, costeggia e attraversa un ruscello sinuoso, che serpeggia nel fondovalle, chiamato Val Onari. Questo è anche il nome ufficiale attuale della valle che arriva fino alla confluenza del Valderio con il ruscello che scende da Collalto e che, nel Regestum Possessionum del 1262, viene denominata anche Valstrambana. Onari è anche il nome di un antico sentiero selciato, saliso, che da Villa portava al vecchio mulino Azzolin. Il toponimo originario, alnarius, derivato dal latino alnus, ontano, il veneto onaro, fa riferimento alla presenza di numerosi ontani, alberi tipici delle zone umide. Il luogo è particolarmente interessante per la tipicità della vegetazione. L'acqua scorre tra l'erba rigogliosa, le fragole selvatiche, il luppolo, le felci, i muschi, gli equiseti, l'elleboro verde, la celidonia, la phytolacca e le ortiche che crescono ai margini di un fitto roveto e di un argine dove sono presenti numerosi ontani, oltre alle robinie, ai noccioli e ai cespugli di sambuco. Si attraversa il torrente e ci si inerpica verso un ripido colle sbucando in via Grotta. La via prende il nome dal grandioso capitello, dedicato alla Madonna di Lourdes, testimonianza di una devozione popolare che preservò dagli orrori della Grande Guerra tutti coloro che parteciparono ai lavori di costruzione. Sorto negli anni 1913-1914 con le offerte di tutto il paese, fu rinnovato nel 1937 e ancora successivamente. Vi si celebra la solennità dell'11 febbraio, ricordo dell'apparizione della Madonna a Bernadette. Il percorso Colceresa sale a destra fino a raggiungere il centro del paese di Molvena. Le vecchie case portano ancora stipiti, architravi e cornici in pietra da mola, che anticamente veniva estratta nella cava del paese. La bella parrocchiale nasce come cappella campestre dei nobili Pedàola, ad uso dei discendenti, presso il castello di cui resta ora solo il toponimo del Castellare. Sul piazzale di fronte alla maestosa gradinata, fiancheggiata da imponenti cipressi, sorge il Monumento ai Caduti, che ricorda le vittime dei conflitti mondiali. In un angolo non sfugge allo sguardo il piccolo oratorio di Nostra Signora del Cuore, esempio significativo di devozione popolare nelle solennità religiose della comunità. Il percorso gira a sinistra e scende ai piedi dell'asilo infantile, per imboccare il sentiero degli Alpini. Antica mulattiera, è ora una via rapida e veloce, dotata di aree di sosta, che collega il centro del paese con via Roma e contrà Valderio. Al termine del sentiero scorre il torrente Valderio che scende da San Luca e imbocca quivi la pianura. Secondo la tradizione locale nel secolo scorso l'acqua del torrente azionava ben 13 opifici di cui è rimasto in funzione la segheria di Covolo Graziano in via Grotta. Si segnala, sul versante di via Costabernardo, il sentiero della Loara che attraversa la stretta e angusta valle del Valderio e rappresenta uno dei punti naturalistici più suggestivi. Il Percorso Colceresa, invece, continua a sud dove, lungo via Roma, sorge, volto verso quella che era la vecchia strada, il capitello della Madonna Pellegrina, la cui statua venne portata in processione nel 1954 in tutte le case del paese. Qui, attraversato il nastro stradale che conduce alla località Ponticello, si sale per via G. B. Sasso per deviare immediatamente a destra verso il sentiero della Tisa. La vecchia mulattiera, in ripida salita, collega via Roma con la zona del cimitero di Mure per raggiungere Laverda ed è situata in una zona di risorgive, tra Costa Mazzarina e Costa Tibalda. Vi cresce una ricca e assai diversificata vegetazione costituita da spaccasassi, robinie, aceri, noccioli, fichi, olivi e castagni e ci sono anche molti olmi, ornielli, cornioli, tigli, biancospini e sambuchi, anche di grandi dimensioni, uniti alla ricca flora del sottobosco. La Tisa costituisce un buon punto di osservazione verso Molvena e San Luca. Sbucando in via Soprachiesa a Mure si può godere di un panorama veramente incantevole che, dalle colline, apre dolcemente verso Molvena, verso la bella chiesa di Santo Stefano di Mure e, in lontananza, verso il paese di Mason con i suoi colli. In pianura risaltano all'orizzonte gli innumerevoli centri abitati di Villaraspa, Schiavon, Longa, Maragnole e Sandrigo. Nelle giornate più limpide si possono vedere anche Vicenza con i Colli Berici e, più lontano, i colli Euganei. Verso nord si apre Costa Mazzarina con le Guizze, splendida località che offre un panorama a 360°. Si percorre via Michelina, da cui parte, dietro il cimitero, il sentiero delle Picòle che si inoltra in un zona, particolarmente fresca in estate, di terreno argilloso, ricco di acqua e soggetto a smottamenti. Il clima mite e la fertilità del suolo rendono possibile la coltivazione di olivi, ciliegi e di molti altri alberi da frutto. All'incrocio con via Tibalda, si trova il Capitello del Crocefisso eretto dagli emigranti di Mure nel 1961. Attraversato il manto stradale, il percorso si inoltra verso il sentiero dei Mascarellotti, che percorre la vallata omonima. Scendendo verso Mure, il primo tratto del sentiero costeggia, sulla destra, una folta, rigogliosa e incolta vegetazione. Proseguendo si incontrano coltivazioni di olivi, viti, peschi, susini e, naturalmente, molti ciliegi che qui anticipano la stagione primaverile. Sulla destra spunta il campanile di San Giorgio e sulla sinistra c'è un bel punto panoramico su Mure. È bene fare una sosta per ammirare in tutta la sua bellezza la chiesa parrocchiale, di origine medioevale, dedicata a Santo Stefano martire. Si segnala all'interno il virtuosismo barocco nella lavorazione dei marmi degli altari. Il curioso campanile merlato ci riporta alla memoria le torri difensive costruite contro le invasioni degli Ungari e l'antica fortificazione dei Pedàola che sorgeva nelle immediate vicinanze della chiesa. Probabilmente il castello cadde in rovina durante il Trecento, nelle azioni belliche tra Cangrande della Scala e i Padovani. Anticamente un sentiero partiva dalle Scalette del piazzale della chiesa, attraversava la valle e saliva, biforcandosi, verso i colli di Laverda e il ponte Scalabrin, sulle orme di antiche scorciatoie percorse dagli abitanti del luogo, dai mugnai e dai raccoglitori di dressa. A valle il sentiero si inoltra tra le geometrie dei campi coltivati ove scorrono lenti rivi e ruscelli che formano, nella Piana dei Micheletto, una zona umida particolarmente interessante. Qui, alla base di un folto argine boscoso, si scorge il tratto basaltico del sentiero della Mariana, un'antica mulattiera che portava a Laverda e Salcedo. La natura si fa più selvaggia, il percorso è irto di sassi e grosse pietre. Si sale per sbucare in via Costavernese, dove si attraversa il manto asfaltato e si riprende il vecchio sentiero. Il nome Costavernese è di derivazione latina e indica un dolce declivio soleggiato che fiorisce prima delle terre circostanti. Si segnala a sinistra il sito storico della torre degli Ezzelini, di cui purtroppo si può solo immaginare la forma sulla cima del colle, ora spianata. Lo storico Maccà visitò i resti del castello alla fine del 1700 e, fino alla seconda metà del secolo scorso, era ancora visibile la base della struttura. Le caratteristiche militari fanno pensare ad una costruzione risalente al XII sec, che fu poi potenziata da Ezzelino da Romano. In posizione strategica, il sito gode di una vista panoramica di ben 15 campanili. Il castello fu probabilmente distrutto ad opera di Cangrande della Scala tra il 1311 e il 1314 nello scontro d'armi avvenuto ai piedi del colle, a est, in località Battagliona. Il sentiero della Mariana riprende e scende verso la vallata del Laverda a nord-ovest. È un tratto molto suggestivo del Percorso Colceresa, che attraversa boschetti di robinie, castagni, querce e aceri anche di grandi dimensioni, spaccasassi, noccioli, fichi e sambuchi. In prossimità del tratto pianeggiante si trova a destra la roggia Angarana, una derivazione del torrente Laverda, che nasce ai confini di Salcedo, Fara e Marostica, e scende al piano fornendo forza motrice a numerosi opifici, per dirigersi in aperta campagna dove serve per usi agricoli. Fu il conte Marzio Angaran nel 1667 a rivolgere una supplica alla Serenissima per la costruzione di una roggia, la cui forma consortile nascerà tuttavia solo nel 1880. Risalendo il corso della roggia, appare l'imponente costruzione del maglio Micheletto. Fu Pietro Francesco ad avviare l'attività di fabbro nel 1958 sulle preesistenti strutture di un vecchio mulino acquistato dal padre. Costruì uno scivolo e installò una grande ruota a cucchiaio per azionare la dinamo di un motore. Il maglio tradizionale e la forgia sono ancora funzionanti e i fratelli Micheletto producono oggi oggetti e accessori di arredamento. Proseguendo lungo la strada bianca si esce in via Laverda costeggiando la riva del torrente omonimo in direzione di Mason. Il torrente Laverda estende il suo bacino di alimentazione fino all'orlo meridionale dell'Altopiano di Asiago e attraversa Conco, Lusiana, Crosara, Laverda, Molvena, Mure, Mason, Maragnole e Sandrigo. Nel suo corso raccoglie tutte le acque ruscellanti dei pendii e di alcune sorgenti, per confluire nel piano e sfociare con il Tesina nell'Astico. Per contrastare le sue acque impetuose durante le forti piogge, i suoi argini sono stati rinforzati. I terreni limitrofi sono fertili e garantiscono copiosi raccolti di frutta e ortaggi. Lo sfruttamento idraulico dell'acqua diede vita a tutta una serie di botteghe operose dalle quali sorse, nel 1873, la ditta “Laverda” di Breganze, produttrice di macchine agricole e di motociclette. Fino al 1922, quando fu aperta la strada Laverda, le sue rive costituivano una via di comunicazione veloce e rapida tra i paesi. Giunti in prossimità della località Barco, si attraversa la strada per seguire Strada Costa d'Olivo che sale verso la macchia boschiva del colle. Si lascia sulla destra Contrà Barco, un tempo una delle principali tenute degli Angaran. Il toponimo Barco deriva da Parco, di cui agli inizi del 1800, racconta lo Spagnolo, restava la forma. Certamente vi crescevano grandi querce, di cui ora rimangono poche piante, e antichissimi castagni, tolti per far posto alle coltivazioni o decimati dai parassiti. Si percorre Strada Costa d'Olivo sostenuta da due masiere in sasso nero di basalto per giungere al bel pozzetto a cupola che custodisce l'acqua di una risorgiva copiosa e perenne. Qui si incontra nuovamente il percorso della roggia Angarana che, dopo aver attraversato il letto del Lavarda e la strada, alimentata dalla fontana del Barco, scorre interrata verso via Ferretti. Si sale percorrendo il sentiero vicinale dei Lanaro affiancato a destra dal corso del Rio della Valletta. Lungo l'argine crescono grandi esemplari di aceri, nespoli, olmi, ornielli, bagolàri e platani di notevole bellezza. Abbandonando alle spalle un'ampia visuale sulla pianura rigogliosa, si continua a salire verso il bosco. Lasciando alla destra il bosco del Somo e il sentiero del Sonco che si inoltra tortuoso tra i rivi e il terreno impervio, si svolta a sinistra per entrare nel bosco dei Lanaro, caratterizzato da un fitto sottobosco di felci, equiseti, pungitopo, phytolacca, sambuco, muschi, rovi, erbe e fiori di ogni tipo. Vi regna la pace ed il silenzio è rotto solo dal cinguettìo degli uccelli, dal fruscìo e dal gorgoglìo dell'acqua che scorre sul fondo della valletta. Gli scoiattoli saltano da un ramo all'altro e non è raro avvistare qualche timido capriolo o qualche serpente arrotolato al sole. La ricca vegetazione presenta alberi d'alto fusto: querce, castagni, bagolàri, platani, robinie, aceri, cornioli, ornielli, noci, olmi, ontani e un enorme ciliegio. Si consiglia una sosta nella rigogliosa e verdeggiante valletta delle felci per riprendere le forze, poi si continua l'itinerario seguendo la strada bianca che sale a sinistra per uscire in via Belmonte e ridiscendere a sud. Tra gli alberi ricompare il campanile di San Giorgio, la torre che domina dall'alto tutto il circondario. Nel punto più alto della via si gode la vista di un bel panorama: le prime propaggini dell'Altopiano di Asiago, il Monte Grappa e i paesi di San Giorgio, Villa, Mure, Molvena e Pianezze che coronano i cocuzzoli dei colli circostanti. Campi verdi, vigneti, ciliegi e boschi formano tante geometrie colorate. Un bel muro a secco, sulla destra, mostra l'abilità dei nostri avi e una rientranza ricorda la presenza di una pozza, abbeveratoio per gli animali. Nei poggi a est crescono nuovi oliveti. Lungo il tragitto si incontra l'insediamento storico di Contrà Vaccara, che compare nel 1698 negli scritti dello Zanazzo come Contrà delli Vaccari, ovvero delli Theoldi. La tradizione vuole che qui ci fossero anche le stalle degli Angaran che nel 1775 possedevano l'oratorio di San Pietro e tutti i terreni vicini. Chi desidera può prolungare qui la sua passeggiata per deviare a destra in via San Pietro e visitare la bellissima chiesetta. L'oratorio di San Pietro si situa in un luogo ameno e incantevole, immerso tra il verde degli ulivi e dei ciliegi ed è oggi un luogo di pace e di serenità. Grazie all'opera di Ottorino Zanin e di Padre Ireneo Forgiarini, è stato riaperto al culto ed è oggi un punto di riferimento per chi vuole riscoprire il valore della vita e della persona. Vi ha sede l'Associazione Sankalpa che, con la sua opera di volontariato, si dedica a perseguire finalità di solidarietà sociale e di promozione umana e spirituale. Vi si svolgono incontri di preghiera e di liturgia comunitaria nel rispetto del credo di ciascuna fede, corsi di meditazione e di formazione permanente dei volontari, attività corali e musicali, oltre all'accoglienza di persone e gruppi che vogliono affrontare esperienze relative alla formazione olistica transpersonale. Il Percorso Colceresa scende a sinistra verso Mason per deviare poi ad est verso la Stradona. La prima parte è segnata dall'avvallamento dei rivi di scolo e dalle infiltrazioni d'acqua che scorrono di lato al fondo ghiaioso tra masiére e teràji. Vecchi bagolàri si annidano con le loro radici tra gli anfratti degli argini creando un canale ombroso dove regna una vegetazione amante delle zone umide. Nell'ultimo tratto della Stradona, più ampio, si svolta a destra in via Ferretti, seicentesca cariza transitata anche da carri. Ora è una bella carreggiata circondata da campi, frutteti e piccoli boschetti. Lungo la via sulla destra si incontra una vecchia casa contadina, recentemente restaurata con un affascinante labio per le bestie, corredato da lavatoio, all'ombra di un gigantesco moràro. L'acqua nasce a monte da una sorgente perenne che serviva tutti gli abitanti di via Ferretti che qui giungevano da trodèti e scùrtoli. A sinistra si ritrova la Roggia Angarana che viene qui alimentata dal rio della Fontana del Bolòn e poi da fontane e scoli del Monterosso. Nel fossato crescono piante acquatiche ormai rare come il carice e il crescione. Il canale ha sponde erbose e acque lente di livello variabile, caratterizzate un tempo dalla presenza di rane e di una cospicua fauna ittica con gamberi, marsòni, foraguà, salgarèle e bisàte. Questa è la zona dei vecchi mulini, di cui purtroppo non rimangono molte testimonianze. Il grande e interessante rustico, visibile a sinistra, era il ricco opificio di Giulio Micheletto, ora appartenente a Roman, destinato allo stoccaggio e alla macina dei cereali e adibito a fattoria. L'acqua lambisce l'edificio ricordando che anticamente una ruota si trovava a ridosso del muro. Di fronte cresce un ciliegeto sperimentale, messo a dimora per un'iniziativa consortile, negli anni '80 circa, con la collaborazione di tecnici fitopatologi, allo scopo di studiare nuovi sistemi di coltivazione e di difesa delle piante, con la selezione delle varietà migliori. L'itinerario continua in via Tarquinia e la breve salita conduce verso Villa Angaran Delle Stelle. Il roseo edificio, ora proprietà Bottecchia, è una delle ville più antiche del vicentino. Gli Angaran appartenevano ad un nobile casato vicentino che ebbe il titolo di Conte nel 1655 per aver offerto alla Serenissima un contributo di 140000 ducati per la guerra di Candia. Lo stemma nobiliare delle tre stelle ad otto punte appare anche in quello comunale. L'illustre Tarquinio, da cui prende il nome la strada, nacque nel 1572 dalla nobile Catterina Chiericati e fece parte di una terribile e influente stirpe di latifondisti locali, referenti sociali e politici del territorio. Non si sa se i conti risiedessero stabilmente a Mason, certo è che vi trascorsero lunghi periodi di tempo fin dal 1500. Essi possedevano anche Villa Angaran delle Stelle del Braglio, con la cappella gentilizia dedicata ai Santi Sisto e Salvatore, e la villa di via Rivaro, ora Gasparotto, con l'oratorio di San Francesco. Abitarono al Barco e alla Crocelonga, ebbero benefici dalla chiesa di San Pietro e, secondo G.B. Zanazzo, dimorarono per un certo periodo anche a Villa Chiericati, detta el Palazzon. La passeggiata continua verso il centro del paese dove appare il vasto Mercato delle ciliegie, costruito allo scopo di trovare una forma di commercializzazione consortile del frutto con l'esposizione e la premiazione dei prodotti migliori. Il grande sbancamento, attuato negli anni '70, del colle di villa Carli, mostra tracce delle rocce effusive vulcaniche di cui è composto il suolo, il cosiddetto togo o tufo, un materiale con formazione cipollare, friabile o più o meno resistente, coperto da una marna detritica argillosa. Nel colle che lo sovrasta sorgeva il fortissimum castrum di Valeriano da Breganze, distrutto da Alberico da Romano nel 1227 e di cui rimane il toponimo: via Castello. Nell'Alto Medioevo il luogo occupava una posizione strategica di controllo della via di accesso a Mason. Imboccata via Roma si svolta a destra per dirigersi verso il roseo Municipio. L'edificio, dalla facciata dominata da un bell'androne ad arco, è del 1880 e si inserisce nel parco rigoglioso di Villa Carli-Gusi, pregevole residenza liberty del 1904. Lungo il muro di recinzione della villa si trova un monumento commemorativo dedicato ai Caduti di Maragnole che ricorda un momento particolarmente doloroso della storia partigiana, quando una rappresaglia nazista si vendicò dell'attacco mortale subito da due militi delle Brigate nere e a Mason fucilò cinque giovani catturati a Maragnole. Prima di concludere l'itinerario non può mancare una visita alla parrocchiale, dedicata a Sant'Andrea Apostolo, situata su di un poggio assolato prospiciente la pianura. La chiesa è stata recentemente rinnovata e si mostra in tutta la sua maestosa grandezza. Si può dare un ultimo sguardo al campanile, dalla forma alta e slanciata che si profila nel cielo azzurro con la sua cuspide aguzza e la bella cella campanaria coronata di statue.


